..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

venerdì 25 aprile 2014

"L'APOLLONIDE - SOUVENIRS DE LA MAISON CLOSE" (2011) di Bertrand Bonello


Donne che sembrano fantasmi, ma quei fantasmi allo stesso tempo appaiono così reali, così umani. Sentimenti imprigionati e nascosti sotto una maschera... ne va della propria vita, della propria libertà, anzi della propria illusione di libertà. Tutte le loro speranze sono legate proprio a quella maschera che sono obbligate ad indossare. Ed il bello è che la riacquisizione di sé, della propria identità, avviene esattamente quando quelle donne-fantasmi decidono di coprirsi il volto per essere se stesse.

Una tragica sinfonia, tutta al femminile, collocata in un preciso contesto storico, eppure così “senza tempo” e “senza luogo”, forse universale. Si, perché a guardare bene, a volgere lo sguardo un po' più in profondità, si capisce chiaramente che non è soltanto la storia di un bordello di alta classe. Un film fatto di sentimenti, di grida silenziose. Non sono le ragazze che vivono e lavorano in quel bordello parigino di fine ottocento, ad essere protagoniste del film, ma sono le loro emozioni, le loro paure, le loro speranze, la loro rassegnazione, l'enorme affetto che le lega, sulla base di quel destino condiviso.

Quella vita se la sono scelta loro. Guadagno facile, vitto e alloggio...ma poi ci sono rimaste prigioniere, intrappolate dai debiti, confidando soltanto nell'arrivo di un ricco uomo, capace di liberarle, sposandole. C'è chi come la “piccola” che riesce a scappare prima che sia troppo tardi, chi invece come Clothilde non vede più una via d'uscita. Chi addirittura finirà per morirci là dentro, dopo aver contratto la sifilide.

Tante storie insignificanti di vite insignificanti. Non c'è un personaggio principale. Potrebbe sembrare “l' Ebrea” Madeleine, sfregiata nel volto da un cliente e destinata a vivere il resto della sua vita da “mostro”. Come il Joker, costretta a sorridere per sempre, anche in mezzo alla disperazione. Ma la sua è soltanto una storia. Non sono le individualità ad avere importanza nel film, è tutto l'insieme. Ecco quindi che quella Casa di Tolleranza appare come un essere dotato di vita propria, un magma vivente fatto da tante anime. E noi spettatori in quel magma ci troviamo immersi, in un gioco di specchi, sbalzati in qua e la tra continui flashback, sequenze oniriche e siparietti in cui le nostre “puttane” sono costrette a recitare una parte. Quella della bambola, della geisha, sottoposte ad esaudire le più assurde perversioni dei clienti.

Sono attrici. E la loro vita è un film. E quindi assistiamo ad un film dentro il film. C'è persino un provino per partecipare. Tutto è così tristemente finto, niente sembra reale. Soltanto quando le ragazze si spogliano dei loro trucchi, si svestono e si fanno il bagno, la realtà fa capolino, con tutta quella potente carica di umanità. Ed allora scopriamo che è anche possibile innamorarsi dei clienti...
Per tutti questi motivi, la lunga sequenza della gita al parco, unica girata in esterno, appare nel contesto, di una bellezza sconvolgente. E quel tuffo nel lago trasmette un immenso senso di libertà.
Terribile invece la scena della visita ginecologica, in cui le ragazze appaiono veramente oggetti, private completamente della dignità.
E poi c'è quel finale di una potenza incredibile, la vendetta che finalmente si consuma, ma senza troppo pathos che avrebbe stonato con tutto il resto. Si perché la pellicola procede lenta, pacata. Tutto è controllato. Ma non è fredda come si potrebbe pensare, tutt'altro...

Questi sono i motivi per cui il film mi ha entusiasmato. Poi c'è l'aspetto estetico formidabile. Ogni inquadratura sembra un dipinto, ogni dettaglio è attentamente curato. I costumi sono eccezionali e lo stesso si può dire per la colonna sonora, che giustamente non si limita alla musica del tempo, ma spazia tra vari generi, da Bach al Blues ed è essa stessa parte integrante dell'evolversi delle varie situazioni.
Ancora una volta, pertanto, mi rimane davvero difficile capire perché una pellicola del genere sia stata presa così poco in considerazione e così disprezzata dalla critica...forse non si è voluto provare a spingersi al di sotto della superficie (come accaduto di recente con il meraviglioso Nymphomaniac di Lars Von Trier). La valutazione su Mymovies è ridicola (ma sono gli stessi che hanno dato uno, dico uno, a Post Tenebras Lux di Carlos Reygadas).

Poi sono ben certo di aver colto davvero poco di ciò che il film possiede e per questo rimando alla meravigliosa recensione di Giulio Sangiorgio de “Gli Spietati” (www.spietati.it) , di tutt’altro spessore culturale rispetto alla mia. 
Mi sento quindi un po’ impotente e sono titubante nel dirlo, ma lo voglio dire comunque: questo è un grande film. Così difficile da afferrare, si lascia prendere, poi ti sfugge... da vedere e rivedere. Bellissimo.



“Eppure la maison rimane una prigione, un luogo di non libertà, che Bonello fotografa con precisione: perché le abitanti non vedono la luce dell'esterno, perché i debiti le incatenano, perché, soprattutto, il loro magro orizzonte è socialmente coatto, cieco, aperto all'unico miraggio di un benessere insperato, di un riscatto (letterale) da parte di un signore che le salvi, che le compri, che (non) le liberi. Si soffoca, in L'Apollonide, filmcervello che coincide con un ambiente da cui è quasi impossibile uscire, sinapsi che sono porte e corridoi, neuroni che sono corpi di donne in vendita. Un immaginario chiuso, un film (dunque) circolare, che entra in loop, reitera momenti, cambia prospettive, ricontestualizza i propri frammenti, modula solo variazioni interne («La ripetizione – ricorda citando Brian Eno – è una forma di cambiamento»)." -- Giulio Sangiorgio (http://www.spietati.it)

“Così L'Apollonide si configura sfacciatamente come un'opera sul cinema: ambientata sul finire dell'800, all'alba del cinematografo, strutturata intorno a scene (sociali) in cui recitare, incentrata sui rapporti di potere impliciti nello sguardo, esplicita la sua vocazione nello smaccato casting: i corpi delle donne sono negoziati da interpreti che, nella vita, lavorano come cineasti. Così Noémie Lvovsky è la padrona/regista dell'Apollonide (e in una scena sottopone Pauline/Iliana Zabeth a un provino), Xavier Beauvois, Jacques Nolot, Pierre Léon e Damien Odoul sono i clienti a cui i corpi mercificati si conformano, Pascale Ferran è la voce over che pronuncia le sentenze del libro di Pauline Tornowsky. Ed è un invito. Ed è una sfida. L'obiettivo: un cinema fuori dagli schemi, che rifletta e poi si emancipi dalle strutture che ingabbiano il vedere. Così L'Apollonide è esatto nella ricostruzione e insieme capace di estraniarsene, in grado di restituire identità ai personaggi e abbracciarli in un unico corpo sognante, in un terribile fine collettivo. E mentre  fonde le soggettive visive, mentali, acustiche, il film s'inerpica di fronte ai nostri occhi, rizomatico e sprezzante (musiche contemporanee tra costumi d'epoca), nello spazio e nel tempo, nei corpi e nelle menti. -- Giulio Sangiorgio (http://www.spietati.it)

3 commenti:

  1. Direi che negli ultimi tempi non passa giorno in cui penso a questo straordinario film (ignora i pessimi giudizi di my movies, non è cinema per loro!), qualcosa che sento l'assoluta necessità di rivedere, come giustamente scrivi, perchè il cinema di Bonello, tutto (hai mai visto "De la Guerre" e "Tiresia"?) non si può liquidare con una sola visione. Per questo ho letto a tratti la tua recensione (che comunque, mi pare colga appieno lo spirito del film: azzeccato tra l'altro il riferimento alle donne viste come fantasmi), perchè voglio ripassare dopo una doverosa revisione... Per il momento, complimenti per l'ottimo rispolvero: indispensabile :)

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    1. Non ho visto altro di Bonello, ma sicuramente dopo questo film (e dopo il tuo consiglio, sempre apprezzatissimo da parte mia) cercherò di recuperarli. Aspetto una tua recensione su questo... tra l'altro mi è venuto finalmente a mente dove avevo visto quella foto di Madeleine che piange: sul tuo blog! ora che ti ho aggiunto su MUBI, sappi che prenderò molto spunto dalle tue visioni ;-) Sei uno dei miei principali punti di riferimento!

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