..."Dire la verità,quello che non so,che cerco,che non ho ancora trovato.Solo così mi sento vivo."

mercoledì 25 settembre 2013

"Umshini Wam" (2011), cortometraggio di Harmony Korine.


"I’m old enough to breed. I’m old enough to bleed. I’m old enough to crack a brick in your teeth while you sleep”



Premessa: ultimamente, come vedete, gli interventi sul blog sono diminuiti vertiginosamente. Ciò è dovuto ad un periodo pieno di impegni, che non mi permette di avere tempo per guardare film e recensirli. Mi devo accontentare dei cortometraggi.

Detto questo, mi sento di segnalarvi ( e perché no anche consigliare) questo "Umshini Wam", cortometraggio di quel pazzoide di Harmony Korine (quello di "Gummo", "Julien Dunky Boy" e "Spring Breakers" per intenderci)... Lo consiglio perché qui, in pochi minuti, c'è tutta la sua poetica, il suo gusto per il brutto... ma la provocazione e l'osceno si mischiano al romanticismo. L'atmosfera è certamente malata, perversa, ma in qualche modo così surreale da risultare affascinante...A far da scenario sempre il mondo desolato delle periferie e come protagonisti due personaggi alquanto singolari, che non sarebbe improprio chiamare dementi. Una coppia di senza-tetto, emarginati, due rifiuti della società... sono una specie di gangsters insani di mente che girano in sedia a rotelle, vestiti da pupazzi, fumandosi canne enormi, cantando, giocando a basket, picchiandosi e non per ultimo facendo rapine ed uccidendo. Due personaggi riprovevoli, ma che allo stesso tempo risultano amorevoli. Perché in mezzo a quella sporcizia, più morale che fisica, all'oscenità, Korine riesce ad infilarci quella bella dose di tenerezza e poesia (ovviamente alla sua maniera)... Riesce a conciliare il tutto, un po' come in Gummo e nell'ultimo Spring Breakers. Per lo spettatore c'è l'assurdo, c'è lo schifo, c'è il sentirsi a disagio... ma non solo, c'è spazio anche per alcune emozioni positive e per l'empatia verso quei personaggi così "border-line"...
Grande merito va riconosciuto anche alla colonna sonora che spazia dalle musiche hip hop dei "Die Antwoord" a dolci melodie suonate al piano...
C'è poco da fare, i film di Korine si vivono con lo stomaco, poco spazio per il cervello... Questi 15 minuti come gli altri suoi lavori possono risultare sgradevoli (come la scena iniziale di Gummo che alla prima proiezione fece uscire dalla sala più della metà del pubblico), fastidiosi, insopportabili, senza senso... per alcuni ridicoli. In fin dei conti, questo talentuoso pazzoide si può odiare o adorare...io personalmente tendo a non odiarlo.
Ed ho amato in particolare il finale di questo corto... “Credo che Dio saprà perdonarci”...”Si, è un bravo ragazzo”...

*i protagonisti sono Ninja e Yo Landi dei "Die Antwoord", gruppo rap sudafricano.

lunedì 9 settembre 2013

"L'arco" di Kim Ki Duk (2005)

Strength and a beautiful sound like in the tautness of a bow…

I want live like this until the day I die.”



Anche in Hwal (“L'arco”), come in tutti i suoi migliori film, Kim Ki Duk ci parla attraverso i silenzi tra i protagonisti, attraverso i primi piani sugli sguardi, i sorrisi accennati, le melodie musicali, le immagini talvolta feroci e spietate, talvolta dolci e delicate. E con queste sue armi, ci racconta anche qui la storia di un amore impossibile, perverso, malato, assurdo. E gli bastano due-tre protagonisti e una vecchia barca, per creare qualcosa di grande. 
Come ne “L'isola” siamo introdotti in un mondo apparentemente incantato, in mezzo a un bellissimo mare. Sembra la pace ed invece tra quelle onde si sta consumando una tragedia: quella di una piccola ragazzina minorenne portata via dai suoi genitori all'età di 7 anni, che da quasi un decennio vive in isolamento su una barca, prigioniera di un anziano che non fa altro che aspettare che lei compia la maggiore età, per poterla finalmente sposare. Ma il vecchio la ama, come amante e come padre. Non sentiamo mai una singola parola uscire dalle loro bocche, li vediamo soltanto sussurrarsi qualcosa nell'orecchio, sorridersi, capirsi con gli occhi. Il “non detto” è ciò che ha veramente significato. Più delle tante frasi prive di senso dei pescatori che il vecchio trasporta su quella barca, e che a turno tentano di avvicinarsi alla ragazza. Il vecchio la protegge, come un padre, scagliando frecce verso chi prova a toccarla. In fin dei conti è colui che l'ha cresciuta, accudita ed amata per tutti quegli anni. E lei non può che ricambiare quell'amore.


E quindi ci troviamo turbati, non capiamo. In un certo senso siamo affascinati dal forte sentimento dell'anziano uomo nei confronti della ragazza, ci commuoviamo nel vedere con che cura ed amore le tesse il vestito nuziale, ma allo stesso tempo non possiamo non avvertire quel dolore invisibile diffuso nell'aria. Ci sentiamo quasi di appoggiare le azioni del vecchio, pur riconoscendone la crudeltà. Di queste contraddizioni Kim Ki Duk fa il suo cavallo di battaglia, prende il bene e il male, li mette l'uno di fronte all'altro, come uno specchio (ma è uno specchio spezzato come in “Bad guy”) ...e così, da questo conflitto fra due sentimenti opposti, riesce a creare un'atmosfera che è a dir poco magica, sublimando il tutto nella poesia. Riesce a raccontare il dramma con toni da fiaba.


La frattura arriva quando sulla barca giunge un ragazzo che con piccoli gesti, come quello di dare alla ragazza il suo lettore cd o scattarle delle foto con il cellulare, oppure ancora, semplicemente, sorridendole, riesce a fare una breccia nel suo cuore. Le fa capire che oltre a quella barca, dove vive come in una prigione in mezzo al mare, c'è tutto un altro modo là fuori, sulla terraferma, che lei non conosce o comunque non ricorda... Ma ovviamente l'avvicinamento del giovane, suscita l'ira del vecchio che gli scaglia contro una freccia e strappa le cuffie dagli orecchi della piccola.

Da lì in avanti, tutto cambia. La protagonista comincia a guardare con disprezzo la vita su quella barca-isola, vuole uscirne, fuggire con il ragazzo...Così Kim Ki duk con maestria ci mostra gli stessi gesti quotidiani messi in scena nella prima parte del film, ma stavolta quando il vecchio fa a fare il bagno alla giovane con l'acqua calda lei si ritrae, si rifiuta di farsi toccare...
La scena successiva è una delle più intense del film: si vede soltanto la sagoma nera del vecchio che suona l'arco, con disperazione e rabbia, di fronte al cielo blu scuro della notte. Sono note di tormento, il lamento un uomo solo, che si è appena reso conto che sta perdendo la persona che ama, l'unica cosa che da senso alla sua vita.

Al quel vecchio non resta quindi che falsificare le date sul calendario, cercando di anticipare la data del matrimonio. Ma negli occhi della ragazza c'è sempre più odio... destinato poi a tramutarsi in compassione. Quando il vecchio si ferisce, in preda ad un momento di follia, lei non esita ad andargli incontro per accudirlo... dopo l'odio, è il momento del perdono. La ragazza ha ormai raggiunto la maturità, non ha più bisogno di serbare rancore.
La storia si capovolge. Ancora una volta ritorna il tema tanto caro al regista della ripetersi ciclico della vita. Stavolta è la piccola a ripetere gli stessi gesti nei confronti del vecchio. Lo lava, lo accarezza...

Un discorso a se, infine, merita il finale, a cui si arriva in un crescendo di emozioni. Un epilogo criticato persino dai fan più accaniti del regista, da molti descritto come eccessivamente grottesco nel suo simbolismo estremo, ma che io personalmente ho trovato pienamente in linea con la poetica dell'autore. Un modo diverso di mostrare il compimento del processo di crescita della ragazza, dall'innocente ingenuità iniziale, passando per la rabbia, fino ad arrivare alla pietà. Un matrimonio che non è un matrimonio, ma un rito di addio e di iniziazione. Il vecchio ha finito il suo tempo e la ragazza è pronta a crescere e a diventare donna (che in un certo senso può ricordare lo splendido finale de “La samaritana”) e quindi è comprensibilmente centrale l'aspetto sessuale.

Ma è il modo in cui Kim Ki Duk dipinge tutto questo che fa la differenza. Un cinema così può risultare solo apparentemente ostico, ma l'impressione è che una volta immersi nel mondo del maestro coreano, ci si può abbandonare, lasciarsi trasportare, facendosi cullare dalla poesia.
Perché questo è il cinema di Kim, poesia.
Considerato da molti un film 'minore', una ripetizione di temi e simboli già visti, posso anche non dissentire. Un film ripetitivo? Può darsi... ma ad averne film ripetitivi così! Non tra i migliori di Kim, ma resta comunque una piccola meraviglia per gli occhi e per l'anima.











sabato 7 settembre 2013

"THE BUTTERFLY CIRCUS" di Joshua Weigel (2009)

 “Se solo tu potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri” -- The Butterfly Circus, Joshua Weigel.

Vi consiglio davvero di guardare questo bellissimo cortometraggio. Dura appena 20 minuti e ne vale sicuramente la pena. Una bella metafora che diventa uno splendido inno alla vita ed alla speranza, magari con una certa dose di 'buonismo' (ma ogni tanto film ottimisti ci vogliono). E' la storia di Will, un uomo affetto da una terribile malformazione congenita chiamata Tetramelia, nato senza arti, cioè nè braccia, nè gambe (interpretato da Nick Vujicic, realmente affetto da questa patologia). Inizialmente esposto negli spaventosi (moralmente più che visivamente) "Freak show" (e il ricordo va senz'altro ad "Elephant Man" di David Lynch), riesce poi a scappare ed a salire sul carro del Signor Mendez, il direttore del "Circo della Farfalla"... Si aggrega così a questo circo ed in mezzo agli altri disperati ed emarginati dalla società, riesce a ritrovare la speranza e soprattutto la forza per vivere con determinazione. Non abbattersi, non mollare mai, nemmeno quando ti senti ormai cenere, perché da quelle ceneri può rinascere qualcosa di grandioso. "Più grande è la lotta e più glorioso il trionfo” gli dice il signor Mendes. Non è certo una riflessione innovativa, ma è portata avanti con uno stile raffinato e con una discreta intensità poetica, tanto che bastano alcuni sguardi di Will per emozionare. L'ottima fotografia dai toni caldi ed avvolgenti riesce a creare un'atmosfera davvero magica. Molto bello il finale, in cui Will a sua volta riesce a donare speranza ad altri...proprio come Mendes aveva fatto con lui. Per me è un cortometraggio super consigliato! Poi si potrebbe stare a ragionare su come in tutto questo ci si potrebbe vedere una metafora religiosa, oppure sul come di quei signor Mendes ne esistano veramente pochi, sul messaggio troppo anacronisticamente rassicurante, ma non è il mio intento...No, oggi non mi va...voglio soltanto, almeno per stavolta, riempirmi di speranza e positività. O almeno provarci.
Qui trovate il filmato, sottotitolato in Italiano:






martedì 3 settembre 2013

"UNDERGROUND" di Emir Kusturica (1995)

“In nessuna opera artistica esiste la verità. La verità esiste soltanto nella vita.”


C'era una volta un paese, la Jugoslavia. Questo è “Underground” del regista bosniaco Emir Kusturica, un ritratto nostalgico di mezzo secolo di storia di una nazione, dalla seconda guerra mondiale, al regime comunista sotto il generale Tito, fino alla guerra civile. O forse sarebbe più corretto definirlo un “necrologio” come amava chiamarlo lo stesso regista. Una storia d'amore, d'amicizia, di ricordi e di sogni, di tradimenti e di vendette. Di un paese alla deriva, di illusioni di libertà. Sicuramente è un grandissimo film, di quelli che l'appellativo “capolavoro” se lo sono veramente meritato. Un'opera mastodontica, di quasi tre ore di durata, in cui si sprigiona tutta la fantasia del suo artefice, così sincero nel raccontarla con toni sarcastici, iperbolici. Un'opera esagerata, in tutto e per tutto, nelle musiche che non ci abbandonano mai per tutta la durata del film, nelle espressioni degli attori così esasperate da farli sembrare maschere, nella trama così assurda eppure così coinvolgente ed emozionante. Kusturica è sfrenato, non si da limiti. Il suo stile è di una potenza disarmante, al punto da poter risultare antipatico e indigesto, ma io, personalmente, l'ho adorato con tutto me stesso. Provateci voi a catalogare un film così, per me è quasi impossibile! Il suo cinema è orgiastico, anarchico, rumoroso, colorato, grottesco, assurdo, malinconico, passionale, carnale eppur disperato. (in molti lo definiscono “felliniano”). Si canta, si danza, si beve un sacco, anche in mezzo alle bombe...e alle scimmie. La tragedia si mischia continuamente alla commedia. Tutto appare così teatrale, finto forse, fino all'eccesso... ma solo perché Kusturica, quella realtà non tanto bella, vuol rappresentarla attraverso la metafora... e ci riesce così dannatamente bene, fatemelo dire.

E per narrarci di un popolo follemente diviso, ci butta in faccia la storia di due amici, divisi dall'amore per una stessa donna, un'attricetta svampita e piuttosto bruttina. Ce li fa conoscere da partigiani in mezzo alla seconda guerra mondiale. Da una parte “il Nero” , interpretato da un straordinario Lazar Ristovski, emblema del macho slavo, orgoglioso e sbruffone, con i baffoni neri, il pelo sul petto, la passione per le donne e per il vino e la classica testardaggine di colui che pensa di essere in grado di conquistare il mondo da solo. Dall'altra Marco ( caratterizzato con grande stile da Miki Manojlović), è lui che fa entrare Nero nel partito, che lo trasforma in partigiano. Nel giro di poco tempo i due diventano degli eroi della resistenza, fino a quando il Nero non viene imprigionato dai tedeschi. Marco lo libera e lo convince a nascondersi in un sotterraneo, dove il Nero, insieme agli altri rifugiati allestisce un'officina per fabbricare le armi, con le quali puntualmente Marko rifornisce i compagni comunisti.
Appena finisce la guerra, però, la storia prende una svolta decisiva. Da lì in avanti, infatti, comincia il terribile inganno di Marco, che fa a credere a tutti gli 'abitanti' del sotterraneo che la guerra continui, in modo da tenersi per se la donna amata ed arricchirsi come trafficante d'armi grazie ai fucili ed alle bombe costruite da “il Nero” e il suo clan (inevitabile vederlo come metafora del grande inganno del Comunismo, che ha sfruttato il lavoro di un popolo per l'arricchimento di pochi eletti, ingannandolo con una propaganda fasulla.)
La menzogna si protrae per ben 15 anni. Quando il nero riemerge finalmente da sottoterra il mondo è cambiato. Ed assistiamo velocemente alla sua riscoperta del sole, alle toccanti scene con il figlio, incapace di riconoscere il sole dalla luna ed un cervo da un cavallo, avendo vissuto sempre sottoterra. Si arriva così alla morte di Tito, alla guerra civile, in cui il paese, completamente intrappolato nel caos è invaso dalle truppe dell'Onu. Crocifissi ribaltati, fratelli che uccidono fratelli, risa, lacrime e poi ancora fanfare, vino, feste, banchetti nuziali. E si viaggia così a tutta velocità, traballando, fino al bellissimo finale, che con un'immagine potentissima (che non voglio qui anticipare),riesce a racchiudere in pochi secondi, il senso di un intero film.

Ma al di là della scena finale e di tutte la altre bellissime immagini (a partire dalla prima sequenza del bombardamento dello zoo), delle trovate geniali, delle atmosfere a tratti poetiche, a tratti surreali, dei tanti simbolismi politici, delle allusioni alla situazione attuale, delle critiche implicite, delle parodie, ciò che colpisce è la sincera passione che ci trasmette Kusturica, uno straripante amore per la sua patria che non esiste più e soprattutto un incontenibile amore per il cinema.

Vi lascio con le parole del Morandini e di Tullio Kezich, sicuramente più autorevoli delle mie:

È difficile stringere in una definizione di genere un grande film visionario come il 5° lungometraggio del bosniaco Kusturica, che fa pensare ad Alice nel paese delle meraviglie riscritto da Kafka, con Hyeronimus Bosch come scenografo e Francis Bacon direttore della fotografia. È una tragicommedia musicale con le musiche tzigane di Goran Bregovic, che di un racconto straripante di feste nuziali, riti collettivi e baccanali, sono il filo conduttore e gli danno il ritmo. Kusturica dice che non è un film nostalgico, ma un necrologio. Forse il Paese di cui ha cercato di raccontare 40 anni di storia non è mai esistito. Underground è il sogno di un incubo, quello della Storia e del suo tempo sporco. “

“Da questo film senza tregua si esce come da una sbornia balcanica accaldati, eccitati, vulnerati, fra il pianto e il riso. E con il cuore che batte furiosamente a significare, contro ogni evidenza geopolitica, che anche per la ex Jugoslavia finché c'è vita c'è speranza." 

*Palma d'oro a Cannes nel 1995, che comunque non rese il regista immune da critiche venutegli da ogni dove.

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